Come può accadere che, in tempi di global warming conclamato gli inverni alle medie latitudini, leggi nord America ma anche Europa e Asia, stiano virando verso il freddo? Uscendo dai ricordi miti del nostro orticello, dove l’ultimo inverno (2014-14 ma anche il 2006-07), ha fatto indubbiamente cilecca, un interessante studio appena uscito sulla rivista scientifica Nature Geoscience ha rilevato che negli ultimi dieci anni, malgrado l’aumento delle temperature medie globali, alle medie latitudini dell’Eurasia e degli States gli inverni rigidi sono diventati particolarmente frequenti.
Il fenomeno è legato al fatto che il riscaldamento dell’atmosfera, particolarmente evidente alle latitudini artiche, associato all’assenza di ghiaccio marino, indebolisce le correnti a getto; è il noto fenomeno dell’amplificazione artica. A causa di questo fenomeno si creano situazioni di blocco atmosferico sempre più frequenti, in cui latitudini relativamente basse continuano a essere raggiunte da aria fredda per molto tempo.
Siamo dunque destinati ad inverni sempre più inclini a gelo e neve, a dispetto del solito global warming? La risposta viene da un gruppo di ricercatori dell’Università di Tokyo, (Masato Mori et all) hanno condotto oltre duecento simulazioni per valutare questa tendenza sul lungo periodo (dal 1979 al 2098 ), ricorrendo a ben 22 modelli climatici differenti, così da coprire un elevato numero di possibili variazioni rispetto ai modelli dei rapporti oceano-atmosfera elaborati dal Coupled Model Intercomparison Project 5 (CMIP5).
I risultati di queste simulazioni indicano che il fenomeno “Artico caldo – Eurasia fredda” dovrebbe essere temporaneo, destinato progressivamente ad attenuarsi via via che ci si avvicinerà alla fine del secolo. Intanto sia l’estensione che il volume della banchisa artica hanno rallentato la loro calata verso l’abisso. Resta da vedere quale feedback ci dovremo aspettare quando nei modelli verranno inseriti anche questi nuovi dati.
Luca Angelini
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