Come spesso accade, soprattutto in questa scienza, la pietra scartata dal costruttore, diventa poi testata d’angolo. Accadde così anche per questo importante fenomeno, il Favonio, o Foehn se lo vogliamo dire alla tedesca, allorquando una serie di lungimiranti e preziosi articoli risalenti ai primi del ‘900 ad opera del grande meteorologo austriaco Julius Von Hann, vennero scartati per poi essere ripresi solo di recente, dietro la pressante evidenza che la teoria fino ad allora in voga non era sufficiente.
Persino oggi tutti conosciamo l’effetto foehn così come descritto dalla teoria termodinamica, secondo la quale il riscaldamento prodotto da questo processo nasce dal rilascio del calore latente di condensazione che si produce sul versante sopravvento interessato da nubi e precipitazioni, ancor più se trattasi di precipitazioni convettive. E se oltre la cresta non si verifica nè nuvolosità nè precipitazioni (Favonio senza sbarramento?). E come si spiegano episodi favonici che, a nord delle Alpi, hanno portato a riscaldamenti dell’ordine di 20-25°C, quando con la semplice teoria termodinamica possiamo giustificare al massimo un rialzo di 3-4°C?
Ecco ripescato dunque il lavoro di Von Hann: egli sosteneva che il riscaldamento prodotto dall’effetto foehn dipende anzitutto dall’altezza delle montagne che la corrente d’aria deve attraversare e scavalcare. Maggiore è la quota della barriera montuosa e maggiore sarà il riscaldamento dell’aria in caduta dalle creste ma non solo. Minore è la diminuzione della temperatura con la quota e maggiore sarà il riscaldamento innescato dal Foehn. In altre parole durante l’inverno gli strati medio-
In questo caso l’arrivo del Foehn rimuove lo strato di inversione di aria fredda incollata al suolo e riporta il profilo della colonna d’aria alle condizioni nelle quali si sarebbe trovata normalmente senza inversione, quindi in condizioni “adiabatiche”. In altre parole la temperatura tende a diminuire in maniera costante con la quota e al suolo risulta più elevata rispetto alle precedenti condizioni di inversione, non esistendo più il cuscino freddo. Lo scarto sui nostri versanti per venti da nord può raggiungere anche i 10-
E siamo al caso attuale: la massa d’aria in arrivo sull’Italia, di origine subtropicale marittima, quindi mite già di suo, tende a scorrere soprattutto alle quote medio-alte della troposfera. Scavalcando l’arco alpino il “salto idraulico” che la massa d’aria compie sul versante sottovento (Padano) si porta dietro quantità di moto dall’alto per via della compressione anticiclonica che accompagna il flusso portante. Si genera così una doppia planata forzata della massa d’aria, la quale può contare su una compressione complessiva qualche migliaio di metri.
Ma Von Hann sosteneva che maggiore è la quota dalla quale parte la massa d’aria prima dello scavalcamento orografico e maggiore sarà il riscaldamento finale a livello del suolo. Il tutto, pensate, senza che vi sia necessità di alcun sbarramento con nubi o precipitazioni sui versanti esteri. Da qui la possibilità di superamento della soglia di 20°C sabato 10 gennaio su diverse località del nord Italia. Lo stesso accadrà lungo i versanti adriatici dell’Appennino e lungo le coste orientali sarde, per via del medesimo fenomeno, rapportato però ai più modesti rilievi montuosi pronti a fare comunque da trampolino.
Luca Angelini
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