L’anno nuovo è ancora in culla quando, verso mezzogiorno, mi alzo sbadigliando dopo l’adolescenziale botta di vita di San Silvestro. Ormai il sole splende alto nel cielo e sul desco imbandito della sala da pranzo mi aspetta una fumante “piatle’na” stracolma di vaporosi anolini ripieni nati secondo i dettami della bisnonna Enrichetta, classe di ferro 1879.
Splende il sole e dopo le abbondanti libagioni decido di fare un giro in campagna con il parentado. Spira un impertinente tiepido vento di Zefiro, Favonio, che porta con sè un tepore insolito, anomalo, fuori stagione. Una primavera anticipata? Accidenti! In fondo sino ad allora l’inverno aveva fatto il suo dovere, con tre nevicate già incamerate, una il 28 novembre, l’altra l’8 dicembre e la terza il 19 dicembre.
Mentre giunge la sera, il Favonio svolge egregiamente il suo lavoro, seccando al massimo l’aria, mentre io mi abbandono alle braccia di Morfeo del tutto ignaro di quanto sarebbe accaduto di li a poco. La mattina del secondo giorno dell’anno il cielo è ancora terso, ma c’è anche una novità: al suolo, sui tetti, sui prati, ovunque vi sono almeno dieci centimetri di neve fresca, asciutta e farinosa. Nessuna goccia d’acqa, nessun vilipendio, nessuno sgocciolamento dalle grondaie, nemmeno vicino alle fonti di calore. Quella notte la “Dama” aveva davvero indossato l’abito della festa. Un gelido soffio delle steppe siberiane era penetrato, come una lama nel burro, in val Padana.
Inizia così un periodo freddissimo che durerà almeno una ventina di giorni e che, come recitano le stupefacenti cronache del tempo, interesserà non solo la mia zona, l’Emilia, ma anche gran parte dell’Italia, con nevicate e giornate di ghiaccio persino a Taranto, portando ad un epilogo incredibile…
– Fine prima parte –
Claudio Bargelli