Global warming, non serve che faccia caldo

Un titolo volutamente aperto per invitarvi, cari amici e lettori, a riflettere insieme addentrandoci nel corpo di questo articolo. La questione si solleva ogniqualvolta ci si presentano dinnanzi condizioni favorevoli ad intense ondate di calore estive. E’ facile e diretto infatti associare all’aumento delle temperature globali del Pianeta l’aumento delle temperature nei nostri “orticelli”. In realtà il legame non è così diretto, bensì molto più complesso e articolato.

Il fatto che da noi faccia caldo non dimostra nulla riguardo al riscaldamento climatico globale. Non lo dimostra perchè si utilizzano scale spaziali diverse; in altre parole, se da noi sta facendo caldo, in un’altra parte del Pianeta starà sicuramente facendo freddo e pertanto saremmo a pari. Non dimostra nulla anche perchè l’aumento del carico termico in atmosfera non si ripercuote solo sull’aumento delle temperature, ma anche sull’aumento dell’energia potenziale disponibile nell’atmosfera stessa.

Per fare un esempio, considerando il motore endotermico di un’auto, il calore sprigionato dalla combustione non causa solo un aumento della temperatura del motore stesso, ma consente agli organi meccanici di ruotare generando il movimento delle ruote ad esso collegate. Calore che diventa lavoro. Così, l’aumento della temperatura in atmosfera non si traduce solo in un maggior riscaldamento, ma fornisce l’energia necessaria a processi fisici che altrimenti non potrebbero avvenire o avverrebbero con modalità differenti (leggi fenomeni estremi).

Quello che conta quindi non è il singolo evento sulla singola zona, ma il trend complessivo sull’intero globo terrestre; scale temporali di decenni (la WMO indica almeno 30 anni), unitamente a campi di analisi almeno a scala continentale. D’altra parte, in via statistica, è stato dimostrato che il riscaldamento globale aumenta di quattro volte la probabilità di ondate di caldo, ma paradossalmente cala solo di poco la probabilità di avere situazioni di freddo o di tempo perturbato. Insomma, è molto più frequente il caldo, ma non sparisce del tutto il freddo, che spesso però è di breve durata.

Parimenti risulta anche che sono state soprattutto le temperature minime notturne ad aver subito un evidente innalzamento e questo concorda con il problema legato all’aumentata concentrazione del gas serra i quali, come sappiamo, intercettano la radiazione infrarossa (il calore riemesso dalla Terra) impedendo la completa dispersione notturna del calore diurno accumulato verso lo spazio.

Insomma, se è vero che una singola ondata di calore non dimostra il global warming è anche vero che un aumento delle stesse in frequenza e intensità inizia ad essere una prova. Inutile quindi nascondersi dietro un dito affermando che le ondate di caldo ci sono sempre state per negare il cambiamento climatico. Sarebbe come dire che si è sempre morti di cancro per negare che il fumo di sigaretta causa il cancro. Eppure la statistica medica nella ricerca scientifica è più che eloquente.

Vi invito ad ulteriori approfondimenti con questo interessante editoriale del meteorologo Luca Lombroso.

Luca Angelini

Global warming, non serve che faccia caldo