Il mese di giugno 2019 si è concluso e tutti i dati climatologici sono stati raccolti. Ora attendiamo dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR di Bologna il resoconto dell’anomalia di temperatura. Dando però un primo colpo d’occhio al quadro generale, comprensibile dalla mappa in evidenza (clic per aprirla) prodotta dal NCEP americano, è ben evidente come il primo mese dell’estate meteorologica abbia staccato scarti dalla climatologia rispetto al trentennio 1981-2010 davvero significativi.
In linea di massima, le anomalie positive spaziano nell’intervallo +1/+6 °C, con quest’ultimo estremo che caratterizza in modo particolare il settore alpino sfiorando il Triveneto. La maggior parte delle altre aree sul territorio italiano sono state invece caratterizzate da temperature superiori alla media tra i +2 e i +4 °C, cioè da valori che porranno probabilmente questo mese di giugno tra quelli più caldi della serie storica.
Si tratta di una notizia che meriterebbe sui quotidiani articoli da prima pagina ma che invece – al di là delle solite sterili manfrine telegiornalistiche cariche di luoghi comuni – sta passando in silenzio, come è passata in silenzio l’intensa ondata di caldo della settimana scorsa alla quale non è stato dedicata nemmeno una colonna. Ben diverso trattamento era a suo tempo stato riservato al “freddo” di maggio, strumentalizzato impropriamente per negare il riscaldamento globale, per il quale si utilizzano, scorrettamente, due pesi e due misure.
Andrea Corigliano e Luca Angelini
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