Se prendiamo in considerazione la colonna d’aria che sorvola le nostre teste notiamo che al livello del mare essa pesa mediamente a 1013 hPa, mentre a 1.500 metri il peso che ci grava addosso scende già 850 e a 3000 metri a 700. Gli aerei di linea sfruttano la bassissima consistenza dell’aria a 12000 metri dove il valore si riduce ancor più fino a 200hPa. Orbene, abbiamo capito che la pressione atmosferica diminuisce all’aumentare della quota. L’aria diventa pertanto più rarefatta e questa espansione provoca un raffreddamento della stessa, anche se la densità rimane uguale.
Ne consegue che, salendo di quota in proporzione alla pressione dovrà scendere anche la temperatura. E così è, ma non sempre. L’andamento della temperatura con la quota deriva da molti fattori, primo fra tutti l’irraggiamento solare dei bassi strati. Un suolo scaldato dal sole diurno trasmetterà all’aria molto calore, talchè la temperatura salendo di quota scenderà molto velocemente. Il profilo è detto super adiabatico. Nelle notti di cielo sereno invece il forte raffreddamento del suolo sottrae calore agli strati inferiori della colonna d’aria, la quale si raffredda dal basso. Ne risulta uno strato detto subadiabatico in cui la temperatura cresce al crescere della quota: è l’inversione termica.
Classica nei mesi invernali, l’inversione termica intrappola entro lo strato d’aria che racchiude umidità, nubi, nebbie e sostanze inquinanti. Al di sopra di esso, ossia laddove la temperatura salendo di quota inizia la sua regolare discesa, vige la normale circolazione sinottica, il più delle volte di tipo anticiclonico. Le inversioni termiche, seppur molto più blande, possono strutturarsi anche in estate. Tale status in sostanza funge da tappo per la convezione diurna, impedendo di fatto lo sviluppo delle nubi cumuliformi, le quali tendono a formarsi solo sui pendii montani posti al di sopra di tale limite. Attenzione però, il riscaldamento solare diurno può intervenire smantellando con il passare delle ore l’inversione; in questo caso, se l’atmosfera al di sopra di tale strato calmo risulta potenzialmente instabile (ad esempio presenza di aria fredda in quota), la convezione può partire improvvisa e sprigionare in poco tempo il suo potenziale latente generando temporali anche violenti.
Esistono altre due tipi di inversioni, forse meno note ma altrettanto importanti e frequenti: l’inversione dinamica e l’inversione da avvezione. L’inversione dinamica,quasi sempre associata anche a quella termica, è legata ai moti discendenti che avvengono entro una struttura anticiclonica. Questa crea una compressione quindi un profilo che, analogamente a quanto visto prima, è datto subadiabatico. In più, rispetto alla semplice inversione termica, quella dinamica causa un’evidente diminuzione dell’umidità al crescere della quota. Questo porta negli strati superiori, che possono anche corrispondere con le nostre località montane durante il semestre freddo, a cieli tersi e aria molto mite e secca, mentre l’inversione con i suoi strati umidi è ben visibile quasi incollata al suolo con foschie, nebbie o nubi basse.
L’inversione da avvezione, nota anche come inversione in quota, si verifica ogniqualvolta aria mite scorre sopra strati più freddi e inerti, situazione che si riscontra il più delle volte all’approssimarsi di una struttura depressionaria. In questi casi salendo di quota la temperatura, dopo una breve iniziale discesa, tende a salire per alcune centinaia di metri. Con la temperatura in questo caso sale anche l’umidità e lo strato d’aria interessato dall’inversione non di rado, finisce in saturazione; in genere tale strato corrisponde allo spessore di una banda nuvolosa prefrontale. Con tale ragionamento si evince che ogni strato nuvoloso così prodottosi identifica una inversione avvettiva alle quote più disparate della troposfera.
Luca Angelini
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