
Quando il Sahara era una immensa foresta (tra 5 e 10mila anni fa) il clima terrestre era molto diverso dall’attuale. Causa o effetto? Studi recenti hanno mostrato che la presenza di vegetazione al posto del deserto comportava una minor emissione in atmosfera di pulviscolo e polveri. Le polveri del deserto giocano un ruolo fondamentale nel calibrare l’intensità del Monsone africano. La riduzione delle polveri sahariane aveva consentito l’ingresso in atmosfera di una maggiore radiazione solare con successivo maggior assorbimento da parte del suolo vegetato. La presenza di vegetazione diminuisce la riflessione della radiazione infrarossa e pertanto determina uno sbalzo maggiore di temperatura terra-mare. E questo sbalzo è il motore che mise in moto il Monsone permettendogli di inoltrarsi nella regione sahariana rinverdendola.
Poiché l’ambiente sahariano influenza direttamente il clima globale, Mediterraneo e Italia in primis, l’analisi di questi processi potrebbe migliorare la comprensione da parte degli scienziati dell’evoluzione climatica globale. Ad esempio, l’El Niño-Southern Oscillation (ENSO) è uno dei fenomeni climatici più importanti sul Pianeta. L’ENSO è un riscaldamento/raffreddamento ciclico del Pacifico equatoriale che influenza la temperatura e le precipitazioni in tutto il mondo. Utilizzando modelli climatici matematici, e includendo nei calcoli i feedback derivanti dalle polveri e dalla vegetazione, uno studio recente ha dimostrato l’impatto dell’inverdimento del Sahara sull’ENSO, riducendone la sua variabilità e intensità. Insomma, la chiave per comprendere il clima mondiale è a due passi da casa nostra. Comprendere l’evoluzione climatica del deserto del Sahara è un passo cruciale nella previsione e nella mitigazione degli impatti futuri del cambiamento climatico.
Credit: Chi ha paura del buio
Francesco Pausata