Messa così l’Italia può considerarsi sotto allerta ad ogni colpo di vento.
La combinazione tra territorio fragile, urbanizzazione dissennata e mala gestione del suolo fanno di ogni perturbazione in transito un’allerta costante. La statistica la dice lunga e, cambiamenti climatici a parte, negli anni dal 2010 al 2017 (gli anni successivi sono sotto osservazione) sono stati 252 i fenomeni meteorologici che hanno causato danni rilevanti.
I numeri sono a dir poco impressionanti: 52 gli allagamenti gravi, 98 i danni ingenti alle sovrastrutture, 8 i danni al patrimonio artistico, 44 gli episodi di un certo spessore fra trombe d’aria e frane, 40 le esondazioni fluviali, 55 i giorni di blackout elettrici, 145 le persone morte per inondazioni, 40.000 le persone evacuate, 56 stati di emergenza dichiarati.
Tutto questo ci è costato la bellezza di 7.6 miliardi di Euro. Le regioni più colpite dalle calamità sono state nell’ordine: Campania (1,1), Emilia-Romagna (0,8), Abruzzo (0,8), Toscana (0,7), Liguria (0,6), Marche (0,6).
Le zone a rischio sono note tuttavia le misure correttive non sono mai partite a causa del groviglio di responsabilità (il più delle volte rimpallate) e della burocrazia asfittica. Ma il problema è anche a monte, Abusivismo a parte, nel corso degli anni il consumo dissennato del suolo ha portato a costruire interi quartieri entro aree golenali.
Un esempio è il “Piano del Po“, elaborato nel dicembre del 2015 e valido per l’intero distretto idrografico, che classifica le aree allargabili e identifica le aree a rischio significativo. In Lombardia ci sono 315 aree a rischio significativo. Il piano del Po contiene misure da attuare in 6 anni, dal 2016 al 2021, e nel 2018 sarà sottoposto a una prima verifica e poi una seconda verifica entro la fine del 2021.
Per il Tevere sono individuate due tipi di aree a rischio significativo. Anche per l’Arno e il Serchio in Toscana il piano è stato approvato, salvo poi arenarsi sulle “secche” e non quelle del fiume ma della burocrazia. Quello che manca è l’attuazione di vere e proprie opere di difesa idraulica (argini, casse di espansione, invasi per la laminazione), interventi di ri-sagomatura degli alvei, briglie, difese spondali, opere di ingegneria naturalistica, riqualificazione fluviale e rinaturalizzazione dei corsi d’acqua.
Come potete capire, cari amici e lettori, un quadro desolante, che va oltre l’emanazione di uno stato d’allerta in vista del prossimo cambiamento del tempo. Per quanto essenziale, una allerta non potrà mai salvare tante vite quante si potrebbero salvare con una seria e mirata opera di cura e “ristrutturazione” del nostro territorio.
Ivano Rossi e Luca Angelini
L’Italia e il rischio idrogeologico, siamo in pericolo costante
