Nord Italia: non vi siamo dimenticati di voi, leggete qua…

Nebbia mangia brina e neve: perchè quando l’aria è tersa le brinate resistono più a lungo al sole del mattino?

Alba glaciale, con temperature diversi gradi al di sotto dello zero. A terra anche un po’ di neve, quella residua di una recente spruzzata: è il caso di questi giorni sulle regioni disdegnate dalle vere nevicate, quelle del nord Italia, interessate però da notti gelide. Da una parte presenza di nebbia e quindi anche di probabili depositi di galaverna, dall’altra un cielo sereno con vento calmo e aria più asciutta. Vi aspettereste che le brine spariscano più velocemente nel secondo caso, per via del sole, ma le cose non vanno esattamente così.

Dovete sapere che la brina depositata al suolo va incontro a continue trasformazioni della sua struttura molecolare. Tali trasformazioni, detti “passaggi di stato“, a parità di pressione atmosferica, richiedono energia, la quale viene attinta dallo strato di aria che giace a immediato contatto con il ghiaccio stesso. Ora, quando quest’aria è secca e contiene una umidità relativa molto bassa, i processi di trasformazione della brina, fusione o sublimazione compresi, richiedono molta energia per completarsi. Ricordiamo che il processo di fusione ad esempio necessita della fornitura di un ben preciso pacchetto di calore per iniziare, il calore latente di fusione, che viene attinto dalla sottile pellicola d’aria a immediato contatto con lo strato ghiacciato, la quale dunque si raffredda (vedi foto sotto).

Questo raffreddamento contribuisce a mantenere maggiormente conservata la brina depositata al suolo anche quando la colonna d’aria (ad esempio a due metri dove solitamente si misura la temperatura) registra valori ampiamente sopra lo zero, fino a 4-5°C, per via del sopravvenuto soleggiamento mattutino. In queste situazioni le zone in ombra possono rimanere brinate anche per l’intera giornata.

no nebbiaViceversa in caso di aria molto umida, o comunque con tasso relativo molto elevato se non addirittura saturo, quindi fondamentalmente in condizioni di nebbia, i processi di trasformazione dei depositi notturni di brina, fusione compresa, necessitano di un quantitativo di energia molto minore rispetto al caso precedente. In altre parole il calore latente di fusione che serve per innescare il processo è minimo. Il pelo dell’aria a immediato contatto del terreno brinato dunque non va incontro a raffreddamento così, in caso di temperatura prossima o 0°C, la brina tende già a fondere rapidamente (vedi prima foto in alto).

Quindi in sostanza, la nebbia fa male alla brina? In un certo senso si, anche se il fenomeno segue una curva matematica ben precisa che miscela temperatura, umidità e pressione, fattori ai quali si aggiungono poi con un ulteriore intreccio di equazioni, anche i dati relativi alla radiazione (soleggiamento diurno, irraggiamento notturno), l’inclinazione del terreno rispetto al sole stesso, l’eventuale presenza e velocità del vento.

Luca Angelini

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