Sciare senza neve, anche alle Olimpiadi

Non esiste transizione ecologica finché non ci sarà transizione culturale. Le Olimpiadi invernali di Pechino passeranno alla storia come quelle con meno neve di sempre. La non curanza delle conseguenze legate ai cambiamenti climatici in atto, che evidentemente viaggiano più velocemente rispetto alle nostre prese di coscienza, ha fatto in modo di creare un evento tra i più impattanti di sempre a livello ambientale. Ma questa non resilienza, questo ritardo inammissibile nell’accorgerci di un mondo che cambia sotto i nostri occhi è un problema anche nostro.

Pensiamo agli sport invernali nelle Alpi e, ancor più, negli Appennini. Il destino è segnato. Ha senso secondo voi sciare in condizioni come quelle ritratte in figura dove, per un inverno, buono ne passano quattro senza neve? Avete idea dei costi ambientali ed economici per mantenere aperte piste di quel genere? Vi sembra normale portare un modello basato sulla neve dove la neve non arriva più, dove i costi e le risorse per produrla superano di gran lunga tutti i benefici? Quanto pensiamo possano rimanere in piedi strutture del genere, per quanto ancora possano resistere quei posti di lavoro? A chi pensate possa portar profitto la costruzione di nuovi impianti? Ma soprattutto: è possibile che in montagna non ci si renda conto di come stia cambiando l’ambiente circostante? Che ci si debba affidare ad una singola attività, stagionale e praticata a tutti i costi? E’ possibile che non esistano attività alternative che, sfruttando gli impianti già in essere, possano portare benefici all’economia e alla gente di montagna seguendo quei cambiamenti che l’ambiente di montagna, suo malgrado, sta subendo per via di un clima che, evidentemente, non è più lo stesso?

Report Luca Angelini