Sembra incredibile ma è riuscito a passare inosservato ai pionieri della meteorologia sinottica, i luminari della gloriosa scuola norvegese di Bergeron, i quali per altro non si erano fatti sfuggire i meccanismi che portano alla formazione e allo sviluppo di perturbazioni blasonate come il fronte caldo e il fronte freddo. C’è di più: è passato inosservato anche alle più recenti scuole sinottiche, le quali forse hanno speso troppe energie dietro a limiti baroclini, bande di deformazione, upper wave o spanish plume ma, quel che sorprende ancor più è che, oltre a illuminati scienziati come Emanuel o Hoskins, presi tra cicli di Carnot e anomalie della vorticità potenziale isentropica, questo benedetto ” anticiclone prefrontale” è rimasto sconosciuto persino ai modernissimi, equipaggiatissimi e informatissimi storm chaser che, tra wind shear, elicità e cold ring storm se lo sono lasciati sfuggire come un tornado sulle Plains.
Ma cos’è allora questo prefrontale, e da dove salta fuori?
Iniziamo dalle fonti: beh certamente la più importante, quella che fa capo all’università 3.0 ossia internet, si fregia di diversi social network quali passaparola utili a far rimbalzare di bocca in bocca questa nuova simpatica espressione uscita la prima volta chissà da chi. Ma allora cos’è questo prefrontale e soprattutto esiste veramente?
Come avrete avuto modo di notare mi diverto a rispondere partendo dal fondo e allora ve lo confermo: il termine “prefrontale” in meteorologia esiste veramente ma non è un sostantivo, bensì un aggettivo: “temporale prefrontale, flusso prefrontale, nuvolosità prefrontale”. Per contro tecnicamente non esistono soggetti sinottici ascrivibili ad un anticiclone prefrontale, perché un anticiclone è un anticiclone e basta, sia che si tratti di un’onda mobile che dura 24 ore, sia che si pianti su un continente per tre mesi filati.
A questo punto sento già insorgere molti bravi appassionati che si vedono togliere di bocca l’osso utilizzato per esorcizzare i sempre più frequenti annunci legati a ondate di calore nord-africano. Arriva l’alta africana? “No è solo un prefrontale”. E che vuol dire? Che piove? Che fa caldo? Che tira vento?
In realtà nel linguaggio colloquiale questa locuzione dovrebbe indicare un’onda mobile di alta pressione che precede l’ingresso di una saccatura con relativo fronte freddo. Eccolo il termine tecnico: l’onda mobile. Mobile? Vuoi mettere utilizzare il termine prefrontale anziché sta roba qui che pare uscita da una pubblicità della Scavolini? Potremmo anche chiamarlo “settore caldo”, per identificare quel compasso di aria molto instabile portata da una avvezione di aria calda nei bassi strati, seguita a breve distanza da un fronte di irruzione fredda. Naaa, anche qui sa di carta patinata, eppure proprio nel settore caldo si possono verificare i temporali più violenti delle nostre latitudini, quelli a “V”, a “U”, gli autorigeneranti per intenderci (ma anche su quest’ultimo termine i più tecnici potrebbero storcere le narici), quelli comunque dove entrano in gioco anche forze trasversali come le onde gravitazionali.
Ma no dai, lasciamo stare la terminologia corretta; prefrontale sta meglio, toglie tutti dall’impaccio, quello di dover ammettere che arriverà una bella bordata di caldo africano, quello che ti toglie il respiro, fosse anche di quello che dura poche ore. Insomma, adesso l’abbiamo capito: un prefrontale è un anticiclone mascherato, di quelli che ti fanno sentire meno il caldo perché ti fan pensare il fresco che verrà dopo… se verrà. Si, perché a volte il tempo si inceppa e ti lascia il prefrontale per tre settimane filate. A quel punto come lo chiameremo?
Luca Angelini
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