Sveliamo il “mistero” dei reperti che riaffiorano dai ghiacciai

Vi abbiamo raccontato dei continui ritrovamenti di reperti risalenti alla Prima Guerra Mondiale ai piedi delle lingue glaciali sulle nostre Alpi, suscitando in molti lettori il dubbio che allora i ghiacciai fossero meno estesi di oggi. In merito a questo, i dati e i confronti fotografici sono lampanti; il calo dell’estensione e dei bilanci di massa dei ghiacciai alpini nell’ultimo secolo è nettissimo.

Un oggetto o un corpo abbandonato sul ghiaccio, infatti, tende a sprofondare (in quanto più scuro, quindi più caldo) e ad essere successivamente coperto e sepolto dalle nevicate. Affonda un po’ alla volta dentro il ghiaccio, fino a raggiungere il terreno sottostante. Fin che non raggiunge il “fondo” il corpo stesso viene trascinato dalla corrente del ghiacciaio che trasporta per gravità gli oggetti inglobati verso valle. Un esempio il caso di Otzi, la celebre mummia del Similaun, che ha entrambe le braccia piegate dal moto verso il basso, o come i massi erratici di granito giunti durante l’ultima glaciazione dalle Alpi Retiche fino alle Prealpi lecchesi.

Analogamente, le postazioni e i baraccamenti della Prima Guerra Mondiale, ottenuti sbancando il ghiaccio e successivamente la roccia per essere installati, oggi vengono alla luce in alta quota, ad esempio a Punta Linke, proprio perché erano stati ricavati scavando il ghiaccio, e non sono quindi una prova di minori estensioni glaciali passate come qualcuno, talvolta, può essere erroneamente portato a supporre.

Giacomo Poletti e Luca Angelini