Turchia: neve sulle macerie

La neve e il freddo per molti rappresentano una parentesi felice. Durante la stagione invernale mi è spesso capitato di rimanere incollato alla finestra per osservare i fiocchi rincorrersi nel cielo. La neve offre un’atmosfera raccolta e conciliante. È una pausa al progredire regolare del tempo. Quando è poi accompagnata da importanti gelate, regala al paesaggio un aspetto fiabesco. Ogni superficie brilla e la sera, se il cielo riesce a liberarsi dalle nuvole, le basse temperature avvicinano le stelle.

Ma la neve non è uguale per tutti.

Secondo gli ultimi aggiornamenti, il bilancio dei terremoti in Turchia e Siria supera i 15mila morti. Ieri un servizio di Rai News ci informava che sulle macerie ha iniziato a scendere la neve. L’articolo non specificava esattamente dove: si limitava a farsi testimonianza di una condizione ambigua.

Se da un lato, infatti, le rovine e i volti rovinati dal dolore gridavano tristezza, sconforto e preoccupazione per un futuro imperscrutabile; dall’altro c’era la neve, placida e silenziosa, ma allo stesso tempo subdola, priva di poesia, impregnata di tristezza e malinconia. Sotto le sue linee sinuose i calcinacci urlavano più forte; il suo respiro ovattato amplificava la portata della tragedia.

E così, forse per la prima volta, ho guardato la neve con sprezzo. Quella neve non faceva altro che aggiungere dramma al dramma, paura alla paura, desolazione alla desolazione.

Guardando i volti bui dei sopravvissuti, riuniti attorno a improvvisati falò, mi sono reso conto che avere la possibilità di godere di una nevicata, dietro alla finestra di una casa integra, è una fortuna semplice, per molti scontata, ma allo stesso tempo grandissima.

Pietro Lacasella