
Come la maggior parte della letteratura meteorologica, le scuole che si occupano di didattica coniano termini inglesi per uniformare la comprensione e l’univocità degli argomenti trattati. Ecco che anche la denominazione del temporale che staimo andando a descrivere è noto agli addetti ai lavori come “dry line” che, tradotto in italiano, diventa meno elegantemente “linea secca”. In realtà il termine è stato coniato dai cacciatori di temporali americani che spesso vagano per le grandi pianure statunitensi nel corso della stagione estiva in attesa di qualche fenomeno violento.
Grazie ai “chasers” dunque la dry line è riuscita a varcare le sponde dell’oceano e ad approdare entro i confini italiani, identificando con quella dicitura un fenomeno di proporzioni sicuramente minori ma comunque piuttosto frequente anche in Italia.
Poniamo di trovarci sotto l’influenza di correnti settentrionali sottoposte alla meticolosa opera di filtraggio operata dall’arco alpino, in altre parole in condizioni favoniche. Una perturbazione del tipo fronte freddo è transitata sul nord Italia e tende ad allontanarsi verso levante seguita da venti di Foehn. In quel frangente le regioni del nord-
Si sviluppa un vero e proprio fronte, la cua caratteristica saliente però non deriva da una differenza termica bensì appunto igrometrica. L’aria secca in discesa dalle Alpi fisicamente è più densa e pesante di quella umida pertanto, venendo a trovarsi sopra quest’ultima, favorisce lo sviluppo di forte instabilità, esattamente come avviene quando aria fredda viene a trovarsi sopra aria mite. Lungo tale linea di confluenza si sviluppano pertanto temporali anche violenti e grandinigeni, ulteriormente attivati e alimentati dalla vicinanza di catene montuose. Si genera così una situazione di incredibile turbolenza e spettacolarità, con fenomeni diametralmente opposti nel giro di pochissimi chilometri.
Luca Angelini
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