Zero termico a 4 mila metri, ma non siamo in estate. Al di là del lapalissiano stato di anomalia in cui versa la fetta atmosferica che ci sovrasta, viene da chiedersi quanto possano incidere queste elevate temperature in quota con lo stato dell’innevamento sulle nostre montagne e, ancor più, sulla salute dei nostri ghiacciai.
Da premettere che i valori di temperatura calcolati dai modelli numerici si riferiscono alla libera atmosfera e dunque possono risultare sensibilmente diversi da quelli effettivamente rilevati da una stazione di montagna laddove l’isoterma di riferimento intercetti il pendio. Questa osservazione è importante, poichè ci permette anzitutto di fare una distinzione tra quanto accade in inverno rispetto a quanto succede invece in estate.
In altre parole un’isoterma di 0°C rilevata in libera atmosfera a gennaio non produce sul suolo montano gli stessi effetti di una isoterma di pari valore ma rilevata ad esempio a luglio. Questo perchè cambia l’energia trasmessa dal sole al terreno e dunque il calore trasmesso dal suolo all’aria. In altre parole il suolo montano risente dell’escursione termica diurna (che è maggiore durante l’estate), mentre in libera atmosfera questo processo è quasi assente, ma c’è dell’altro.
Se dunque a luglio avere 0°C a 4 mila metri significa assistere ad una fusione massiva degli apparati glaciali anche in alta quota, a gennaio ciò non avviene poichè il suolo è, per così dire, protetto da una sottile pellicola di aria fredda che il soleggiamento diurno non riesce a rimescolare. Questo limita pertanto la fusione dei ghiacciai durante l’inverno, pur con temperature dell’aria positive.
Naturalmente il discorso può essere diverso man mano che si scende di quota, dato che un’isoterma do 0°C a 4 mila metri può voler significare un’isoterma di +6°C a 3 mila e di +12°C a 2 mila metri, valori ampiamente positivi che certamente hanno un impatto comunque deleterio sullo stato dell’innevamento, anche in presenza di eventuali inversioni termiche.
Luca Angelini
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