L’equazione sembrerebbe “lineare”, ovvero: temperature atmosferiche più elevate, oceani più caldi, uragani più forti. In realtà, come d’altra parte già si riscontra nelle equazioni che descrivono le leggi dell’atmosfera, la faccenda è tutt’altro che lineare e l’equazione non regge. Tanto per iniziare, come ricorda il fisico dell’atmosfera e meteorologo Francesco Nucera, “le temperature superficiali dell’oceano sono una condizione necessaria ma non sufficiente per l’intensificazione dei cicloni tropicali”. Vale a dire che, al fine dello sviluppo di un uragano, gli oceani devono essere caldi, ma ci deve essere anche dell’altro.
Occorre comunque osservare che, al crescere della temperatura oceaniche, aumentano come frequenza le categorie degli cicloni, ovvero la loro potenza complessiva, tuttavia le categorie più basse sono sempre prevalenti (rif. Emanuel et al). I cicloni più potenti, di tipo Major, sono però improbabili ad intensificarsi se le temperature sono inferiori a 28°C.
Inoltre, va tenuto conto che in un mondo più caldo aumenterebbe lo shear verticale (controproducente), ossia il diverso taglio di vento con la quota, tipico delle fasce climatiche extratropicali. Questo perchè in un mondo più caldo, si riscontra uno spessore atmosferico più dilatato e, come conseguenza, una risalita della cella di Walker (ovvero della circolazione tropicale) verso le medie latitudini, come spiegano Vecchi et al in “Increased tropical Atlantic wind shear in model projections of global warming”.
Insomma, pochi ma forti. Questo sembrerebbe spiegare l’andamento apparentemente “scollato” tra cambiamenti climatici e attività ciclonica tropicale, anche se a livello di ricerca scientifica il consenso su questo punto non è unanime (Bathia 2017 in “Projected Response of Tropical Cyclone Intensity and Intensification in a Global Climate Model”) e la questione degli uragani è piuttosto controversa.
Report Luca Angelini